39° Pellegrinaggio Macerata-Loreto

Il canto, l’anima del Pellegrinaggio

Testimonianza di Luigi Baldassarri, Direttore del coro del Pellegrinaggio

Quest’anno al Pellegrinaggio ci sarà «un canto nuovo», Sicut cervus, come ci racconta Luigi Baldassarri, che ha voluto condividere con noi la bellezza che sprigiona dalle voci del coro che è chiamato a dirigere da tanti anni. 

 

Innanzitutto devo chiarire che i canti non li scegliamo, o per lo meno non li scegliamo a tavolino. Ci accade piuttosto di affezionarci ad alcuni testi, ad alcune melodie, e sale la voglia di viverli insieme ai pellegrini!

Sicut cervus è un canto polifonico che ho sentito l’anno scorso agli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione. Ero rimasto colpito dal modo in cui il coro lo aveva eseguito, perché il senso e il desiderio fortissimo che emergeva dal canto mi corrispondevano, trovavano in me una risonanza. È un canto difficile da imparare e da eseguire, e subito non ho pensato di metterlo in cantiere per il Pellegrinaggio dell’anno seguente. Ma quest’anno, quando don Gigi (una delle guide del cammino) ci ha suggerito come titolo la domanda di Gesù a Pietro “Mi ami tu?”, ho sentito risuonare, insieme alla risposta di Pietro, anche la mia: così come il cervo desidera abbeverarsi alle fonti d’acqua, così il cuore mio anela a Te, o Dio!

Allora è riemerso in me il desiderio di raccontare, di esprimere questa tensione dell’uomo verso Dio, proprio con l’immagine del cervo contenuta in questo canto. Ma restava comunque un canto difficile, e restava anche la mia titubanza! Poi ho parlato con Ermanno, il presidente del Comitato organizzatore, ho parlato con gli amici del coro e, nonostante la mia preoccupazione, tutti hanno insistito: «Ma dai, proviamoci, facciamolo!». Così, alla fine, non ho fatto altro che cedere all’insistenza dei miei amici. È questo che faccio normalmente: ho delle idee che emergono dalle proposte della vita del Movimento e dalle cose che accadono, ma queste idee si traducono in scelta soltanto dentro l’esperienza che facciamo: in questo senso non siamo noi a “scegliere” i canti, perché la scelta è determinata dall’esperienza!

Questo vale per tutti i canti del Pellegrinaggio, che sono l’anima del Pellegrinaggio perché sono l’anima della mia giornata! Sono l’anima della vita, perché esprimono la coscienza in modo bello e immediato, come un discorso non saprebbe fare. In questo senso i canti sono un punto di consapevolezza all’interno della giornata: se dovessimo dire e spiegare un concetto, una esperienza, ci vorrebbero tempo, calma, parole adatte alla situazione, e spesso, nonostante tutti i nostri sforzi, il senso di ciò che vogliamo dire non sarebbe compreso da tutti, non sarebbe così immediato, non sarebbe così vero, come lo è nel canto. Se tu senti un canto veramente pieno di un’esperienza, te ne accorgi subito, di un discorso non sempre! Un canto ben scelto è più della metà di un gesto – come ci ha detto ultimamente don Julián Carrón – e per me, come per gli amici del coro, è un’occasione d’oro per immedesimarci in esso, prima e durante.

È un aiuto a vivere non solo il Pellegrinaggio, ma anche tutti gli altri gesti della vita. Il Pellegrinaggio per me è una grande occasione di verifica: ho incontrato qualcosa che ha dato il “la”, il tono a tutta la mia vita, e subito dopo ho avuto il desiderio di approfondire quanto mi era accaduto, di metterlo alla prova, spendendomi in un gesto che avesse come unica motivazione la fede e la sua verifica. Questo gesto è stato ed è il Pellegrinaggio. È una continua verifica dell’incontro fatto, una verifica sempre più piena, caratterizzata da sempre maggior certezza e sempre maggior domanda, perché quando cresce la certezza cresce anche la domanda.

Questo atteggiamento nuovo è emerso ad una cena di qualche anno fa, con gli amici del coro, prima del Pellegrinaggio (il Pellegrinaggio non è solo “una nottata”, ma è anche prima e dopo, e se ci perdessimo il prima e il dopo ci perderemmo gran parte del Pellegrinaggio). Non è stata una cena “organizzativa”, di preparazione, ma una serata in cui, guardandoci in faccia, siamo andati a fondo di quello che ognuno di noi desiderava. Commovente! Da quella serata, una nostra amica, Stefania (che canta nel coro e suona la chitarra), ci ha fatto ascoltare per la prima volta una sua canzone, Può, che abbiamo spesso cantato ai pellegrinaggi degli ultimi anni. Quella cena è stata un punto di svolta, per me e per tutti, una semplice cena, che ha introdotto un cambiamento nella nostra vita (e credo che questo si sia visto anche nei canti). Non è possibile raccontarla, ma un particolare che mi è rimasto impresso è stato l’accadere di un dialogo intenso tra 20 persone, scandito dal silenzio dell’ascolto degli altri quando uno di noi parlava, un momento pieno, che ha generato del nuovo nel nostro modo di coinvolgerci.

È semplicemente questo che mi spinge ogni anno a spendermi per questo servizio. Questo è il mio modo di partecipare, perché questo mi hanno chiesto, e io ho ubbidito. Se non me lo chiedono più, non lo faccio più, ma il Pellegrinaggio lo faccio ugualmente! Non mi interessa il ruolo. Il ruolo è quello che mi chiedono, ma se non me lo chiedono non cambia niente, non cambia la mia affezione a questa storia che mi ha preso e che mi fa compagnia ora. Credo che valga anche per gli altri del coro: è un servizio che ci viene chiesto, un modo di starci con tutta la nostra umanità.