Testimonianza dei carcerati della Cooperativa Sociale Giotto
Carcere “Due Palazzi” di Padova

Mi chiamo Sante. Sono un lavoratore della cooperativa Giotto. Sono qui assieme ad altri amici ed una decina di detenuti, alcuni dei quali con un familiare.

Siamo qui, quasi tutti per la prima volta, in questo particolare Anno della Misericordia. Ecco che per tutti noi essere qui presenti, proprio in questa circostanza, assume un valore del tutto particolare. Siamo qui con il cuore colmo di Gratitudine a ringraziare di tutti i Doni e di tutto il Bene che il Signore ha voluto e vuole a ciascuno di noi, così come siamo.

Siamo venuti a chiedere alla Madonna di Loreto che ci aiuti a non dimenticare mai l’amore che Gesù ha per ciascuno di noi e che riusciamo ogni giorno a chiederGli: “Con umile certezza, che l’inizio di ogni giornata sia un sì al Signore che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore per il compiersi della Sua opera nel mondo, che è la vittoria sulla morte e sul male”.
Gli amici che organizzano il pellegrinaggio ci hanno chiesto di portare la nostra esperienza. Abbiamo scelto di leggere due brevi pensieri di due detenuti che oggi non possono essere con noi: un ergastolano che avendo pochi giorni di permesso ed avendo la mamma che sta per morire usa questi permessi per starle vicino, ed un detenuto che non può ancora uscire in permesso. 

Primo contributo

Sono detenuto dal 1994 e condannato all'ergastolo, sono nel carcere di Padova dal 1998.

Ho affidato le mie intenzioni ai miei compagni e al un Gruppo di persone la cui Vita si è “stranamente” incrociata.

Fino a qualche anno fa pensavo che ognuno bastasse a se stesso, e ritenevo che ognuno di noi fosse l'artefice del proprio destino. Anche una volta arrestato credevo, quindi, che a farmi “incontrare” il carcere di Padova – e un Gruppetto di persone che lì dentro avevano avviato una serie di attività lavorative – fosse stato soltanto il caso. Una serie di circostanze. Nulla di più.
Naturalmente pensavo anche che quelle persone così interessate a me e ai miei compagni detenuti, al punto da assumerci come normali lavoratori, nascondessero chissà quale trucco e tornaconto personale.

Soltanto col passare degli anni, molti anni, ho iniziato a capire che il trucco si chiama Cristo e il tornaconto si chiama Amore.

Ci sono voluti tempo e pazienza, ma soltanto il bene che ogni giorno mi veniva offerto, e che io preferivo respingere ed allontanare anziché abbracciare, ha fatto accadere in me quello che mai neppure lontanamente avrei ipotizzato: riconoscere Cristo. Accoglierlo. Lasciarmi abbracciare. Fidarmi. Ascoltarlo.

Naturalmente ho cercato di respingere anche Lui: “Perché mai Cristo dovrebbe presentarsi proprio a me, rinchiuso in carcere con una condanna all'ergastolo? Perché mai dovrebbe cercare proprio me, che addirittura l'ho rinnegato?”.

Sì, perché non sono entrato nella Cappella del carcere per una dozzina di anni. Ero arrabbiato per la condanna, ero arrabbiato con Lui: Lui che non aveva fatto niente per aiutarmi nonostante le mie preghiere, le mie implorazioni, le mie suppliche.

Nel frattempo, con quel gruppetto di persone, in carcere abbiamo iniziato anche la Scuola di Comunità. “Vado, tanto cos'ho da perdere?”, mi sono detto.

Non l'avessi mai fatto. Pian piano ho iniziato a sentire di essere voluto bene, il bene che quelle persone mi volevano per davvero, e tutto ciò, più di qualsiasi altra cosa, ha fatto sì che il mio cuore iniziasse a schiudersi, permettendo di lasciar penetrare da quel piccolo varco uno spiraglio di luce.

Ora quel Gruppo di persone è un Gruppo di Amici, e ciò che mi pareva soltanto un trucco era invece Cristo che si manifestava attraverso loro.

Una mattina a Messa ho improvvisamente sentito la necessità di confessarmi e di fare la Comunione. Ho pianto a dirotto, proprio con i singulti come piange un bambino. Finalmente avevo fatto pace anche con Cristo. Finalmente sentivo il Suo abbraccio, il Suo perdono.

Per Lui tutti siamo unici; così anch'io mi sento unico, e più chiara mi giunge ora la frase di Mons. Giancarlo Vecerrica: “L'esperienza della presenza di Cristo nella mia vita può cambiare e cambia l'orizzonte delle giornate e la prospettiva della vita intera”.

Affido le mie intenzioni di preghiera alla Madonna di Loreto, in particolare per tutte le persone che a causa mia soffrono: affinché possano patire il meno possibile e affinché anche loro possano incontrare ciò che ho incontrato io.

Per i miei familiari che mi vogliono bene e che non mi hanno mai lasciato solo, in particolare a mia Mamma che, in condizioni di salute molto molto gravi, è in attesa di ri-tornare tra le braccia del Padre, consapevole che quello è il compimento della sua Vita e non la fine.

Non per ultimo per i miei Amici, per tutto quello che fanno e per lo spirito con cui lo fanno. Se non avessi incontrato loro – e oggi non credo più che si sia trattato soltanto di un caso! – non sarei mai riuscito a ri-cominciare la mia nuova Vita.

Secondo contributo

Anch’io non posso essere al pellegrinaggio con voi, ma affido un breve pensiero ai miei amici che hanno la fortuna di poter partecipare. Ho scontato 12 anni dei 30 che ho preso come pena da scontare. Sono stato detenuto in quasi tutte le carceri Europee; dal 2006 sono detenuto a Padova. Un po’ da tutti i paesi quando potevo cercavo di evadere, e alcune volte ci sono riuscito. Non ho volutamente avuto dei figli per non mettere a repentaglio la loro vita, perché so bene che un figlio ha bisogno di un papà e di una mamma. Ho vissuto per oltre 30 anni commettendo reati e scappando da uno stato all’altro, dal primo arresto, avvenuto nel 1973, al 2004, quando mi hanno arrestato a Milano. In questi anni è cresciuta in me solo rabbia, ribellione interna. Anche al mio arrivo a Padova la prima cosa che ho fatto è stato studiare bene tutti i punti deboli del carcere per preparare la mia evasione. Quando ero quasi pronto (un piano perfetto) accade l’imprevisto: mi chiamano a lavorare al call center, e li succede qualcosa di strano. Il modo con cui mi hanno trattato e si trattavano, detenuti e non, mi ha colpito e incuriosito. Quasi senza rendermene conto ho abbandonato l’idea di evadere, attratto da un modo di guardarsi e volersi bene che così non avevo mai provato. Ero abituato al fatto che dell’altro non ti puoi mai fidare. È successo l’impossibile: ho iniziato veramente a lavorare a 65 anni. La mia nuova vita è sintetizzata da una parolina molto semplice: amore. Non mi era mai capitato che qualcuno mi volesse bene così, senza nulla in cambio. Questo bell’imprevisto mi ha fermato e fatto capire meglio chi ero e come dovevo trattarmi, per che cosa valeva veramente la pena rischiare la mia vita. Un abbraccio gratuito e pieno di amore mi ha salvato.

Questo è tutto ciò che ho da offrire, poco niente rispetto a tutto quello che ho ricevuto. Vi chiedo di pregare perché quello che è successo a me possa succedere a più persone nel mondo rinchiuse dentro le carceri.
Grazie.